… di terre e d’acqua …
Di Carlo Fabrizio Carli
2019
La pittura di Silvana Chiozza, grazie a un intreccio di radici biografiche e culturali accosta due contesti lontani, non soltanto dal punto di vista geografico: l'Italia e il mondo latino-americano: quest'ultimo con in testa la vitalissima, quanto meno artisticamente parlando, Argentina. Una condizione, per così dire, di duplicità esistenziale che trova riscontro nei molti e fitti viaggi che l'artista effettua abitualmente.
La curiosità di mete e di luoghi le ha dischiuso una sorta di paese dell'anima, un contesto geografico ben noto in Italia, ma anche altrove, che è poi la Val d'Orcia, quella porzione privilegiata della bassa Toscana, compresa tra le pendici del Monte Amiata, le dolci propaggini umbre con il lago Trasimeno; in alto, le Crete senesi. E le altre acque: piccoli laghi e fiumi e torrenti: dal Fiora al Paglia, dal Rigo all'Orcia. In ideale baricentro un abitato anch'esso famoso, espressione di un ambiente armonioso e appagante, prediletto dagli artisti: Cetona. Un ambiente che ha offerto alla nostra pittrice un ampio repertorio di stimoli e suggestioni.
In realtà, ponendo così le cose, si commetterebbe ingiustizia: tutto un versante della pittura (e qui, pittura d'immagine) e della vita di Chiozza è dedicato a Roma e ai suoi monumenti. Città prediletta al punto di averla indotta a fissarvi la sua dimora (quando non è a Buenos Aires o in giro per il mondo). Ma la Toscana, quella Toscana agreste e armoniosa, da secoli curata dagli abitanti come i lineamenti di una donna molto amata, costituisce, per dire così, il contesto compensativo e integratore di una sovrabbondanza di storia e di civiltà (ossia di città).
E poi la mappa dei referenti visivi è destinata ad ampliarsi: come, per esempio, come quel fascinante laghetto ghiacciato a Central Park, ispiratore di vari quadri.
Ma attenzione: il versante aniconico della pittura di Chiozza, ben più che a un doppio registro operativo, in parallelo con le scelte figurali, si origina spontaneamente come un approfondimento del linguaggio, come l'acquisizione di un ulteriore margine di libertà, come la percezione di altre vibrazioni. E qui, accanto alla lezione offerta dai paesaggi toscani, con la loro irripetibile gamma cromatica, dai rossi agli ocra, ai beige, ai grigi, affidati in pittura a un forte gusto della sintesi, opera naturalmente un ulteriore magistero, un altro repertorio di stimoli e di apporti, quello offerto dai grandi maestri dell'astrazione, a cominciare dalla lezione romantica e sognante di Mark Rothko.
Converrà, a questo punto, guardare all'elaborazione del fondo dei dipinti, che è curatissimo, un vero e proprio pattern, che rivela un'applicazione singolare da parte di Chiozza, pur nell'emancipazione da ogni possibile ambito compendiario. Si tratta di paesaggi non mentali e tantomeno riferibili a un'astrazione fredda di marca concretista, ma che, invece, si percepiscono assediati (e assediati strettamente) dal vero fenomenico: si avverte da qui l'insoddisfazione di Chiozza per le rigidezze geometriche. Ove proprio delle affinità andassero individuate, occorrerebbe semmai guardare ad un'eredità di marca espressionista ancora vitalmente in lei operante, fin qui tenuta sotto controllo nel confronto con la realtà.
Dopo aver tanto dipinto, ripete Silvana Chiozza, ho appreso una lezione fondamentale: ciò che conta davvero non è, in fondo, ciò che si dipinge, ma come lo si dipinge. L'immagine, più che soggetto di pittura, diventa strumento linguistico.
Roma, marzo 2019