Di Giulio Castelli
1998
Segni e colori delicati dove le sfumature prevalgono sui contrasti, atmosfere morbide che sembrano talvolta dileguarsi in contorni nebbiosi, dove sono immersi oggetti impalpabili, alberi e case e figure che appartengono a quei sogni che si vorrebbe non finissero mai.
Tonalità cangianti che si perdono in tenui evanescenze. E' questa, dolce e allusiva, la pittura di Silvana Chiozza, argentina di lontana ascendenza italiana, e romana di adozione, da quando, arrivata a Roma con una borsa di studio per l'Istituto di Psichiatria Infantile della Sapienza, decise di abbandonare la medicina per dedicarsi all'arte.
Un singolare percorso ha riportato Silvana Chiozza nel solco di una vocazione che veniva da lontano. Aveva sette anni e già studiava pittura con Valle Planas, artista argentino degli anni sessanta, e a casa col nonno, pittore di marine di origine genovese. Nel '85 ottiene la laurea in Medicina. Combattuta tra psicoanalisi e tavolozza dei colori, Silvana Chiozza non ha trascurato altre esperienze artistiche in particolare la grafica e il Trompe l'oeil. Nel '88 si trasferisce a Roma, dove si dedicherà principalmente alla realizzazione dei paessaggi, olii figurativi che deluderebbero chi volesse cercarvi un esotismo artistico lontanissimo dal gusto e dalla scuola dei paesi del "Cono Sur". Paesaggi intrisi di incanti, composizioni che ricordano le nature morte di Morandi. Ma sempre sensibilità malinconiche, sipari di rade foschie, segni che scaturiscono da una mano gentile e che rivelano in un attimo come potrebbe essere tutto quello che non è.
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