Dal rigore della forma…

Di Paolo Cicchini
2016

Ci sono modi diversi di guardare allo spettacolo di forme e colori che usualmente offre la natura: talvolta, con gli occhi accesi dell'ingenua meraviglia del "fanciullino" evocato dalle pagine eterne della prosa pasco liana o alla maniera degli empiristi, per i quali i sensi diventano veicolo di conoscenza, destinati a fornire il materiale che l'intelletto elabora in idee.
C'è poi un approccio alla sfera del visibile che trascende dai contenuti e converte il "fenomenico" in un armonico rapporto di volumi, di linee e di colori, come teorizzato da Fiedler, per il quale l'arte è la manifestazione del "Assoluto" attraverso gli elementi della geometria.

Nella pittura di Silvana Chiozza queste tre differenti anime convivono e mirabilmente si integrano: la realtà – il "vero" che si disvela allo sguardo – si carica d'un potenziale di poesia che solleva il particolare alla dimensione del "Assoluto", quasi la materia perdesse di peso, di consistenza tangibile per farsi "evocazione", aurorale visione di ciò che esiste oltre l'invadenza dell'ora e la miseria delle cose che finiscono.
Non c'è volgere di tempo nella pittura di Silvana Chiozza, quasi un mago incantatore avesse interrotto l'andare inesorabile del sole e ferma fosse l'ora su un giorno di luce senza sera.

Molti sono i quadri che hanno a soggetto l'acqua,ma non c'è forza di vento che percorra in superficie la stricia di lago di Anguillara, il braccio di mare della laguna di Orbetello e le porzioni di fiume che scivola, indifferente alle lusinghe di passato, sotto le arcate di un ponte carico di Storia.
Tutto è fermo nei quadri di Silvana, trasparenza cristallina e sospeso il tempo sopra ritagli di natura declinati dall'artista con un linguaggio che trascende il vero degli impressionisti, per privilegiare piuttosto quanto è destinato a durare delle "cose", la loro immagine interna, quella forma ideale già intuita da Platone nella dimensione dell'Iperuranio.

Silvana sente la lezione di Cézanne e nei suoi quadri lo "sfarfallio" della luce si condensa in masse de colore, leggere comunque e senza peso, come fatte di aria colorata, quasi pappi piumosi che un respiro di vento potrebbe strappare allo stelo che li tiene. Un tonalismo di chiara impronta romana avvolge l'insieme, ma a differenza degli artisti della scuola di Via Cavour non c'è grido, deformazione espressionista del reale nella pittura dell'artista.
Trasparenza cristallina che tutto unifica ed avvolge, come è dato di vedere in certi quadri di Virgilio Guidi, anche se in Silvana Chiozza assente è la figura e la scena è interamente occupata dal paesaggio.

I paesaggi di Roma si affacciano in continuazione sulla tela, come usciti dalla lampada magica dell'archeologia della memoria. Ecco il Palatino, striscia di colore sotto un cielo senza vibrazioni, compatto d'un azzurro incerto che pare infittirsi di grigio dietro la cortina di verde che accompagna tutto il primo piano. Ecco l'"Isola Tiberina", colta dall'artista nella stagione della neve, tonale l'insieme con gli alberi stecchiti, le facciate delle case di malinconici marroni e lo specchio d'acqua del fiume, bianco sulla riva e d'un colore che riflette il cielo.
Un modo questo di operare che è dato di cogliere in opere come "Terme di Caracalla", "Piazza del Tempio di Diana", "Chiesa di San Saba", "San Pietro in carcere"…

La luce esce da una sorgente misteriosa, quasi fosse dentro la cose, si conforma in immagini e si dilata sulla superficie della tela, come se la terra e il cielo, gli alberi, le pietre e gli intonaci segnati di passato fossero generati da una sola "omeomeria".

Lo spirito di Piranesi sembra aleggiare sui paesaggi archeologici di Silvana: reliquie di passato si affacciano alla luce, lasciandosi carezzare docili dal sole, dopo avere sperimentato secoli di buoi nella terra. L'antico respira accanto al nuovo, ai pini che si alzano a contendere ai cipressi una maggiore vicinanza al cielo.

L'universo pittorico della Chiozza si mostra immancabilmente in lontananza, vuoto il primo piano, come accade talvolta nei quadri di Corot.

Silvana tende a risolvere la molteplicità del fenomenico, i particolari che ad esso appartengono, con una capacità di sintesi ed una sapienza coloristica di rara suggestione. Dentro ardite prospettive, i suoi soggetti(le fontane di Roma, gli antichi palazi, i resti della Coittà che era) si dispiegano armonici, come le note di una sinfonia. I colori sono sapientemente bilanciati tra loro: il bianco abbacinante di una faciata è quantitativamente meno steso del colore degli edifici che ci stanno intorno, in forza di una cercata armonia risuscitata nel sentimento dalla conoscenza della pittura di Piet Mondrian.

La lezione dei grandi Maestri del passato torna viva nell'originale pittura di Silvana a dimostrazione che tutta l'arte è contemporanea. Figurativo ed astratto mirabilmente convivono in una medesima opera, senza barriere di tempo, in un percorso di continuità, di interdipendenza di scuole e di stili che attraversano la Storia e rivelano, se intuiti, la manifestazione più vera di quanto c'è stato di grande e resiste ancora nell'eterno andare dell'umanità.

...alla libertà della materia

La più recente produzione di Silvana Chiozza solo apparentemente contraddice l’universo di forme alle quali l’artista ci aveva abituati, essendoci un filo di continuità tra i “paesaggi” – costruiti di ritagli di luce dentro essenziali contorni – e l’astratto di figurazioni che indulgono talvolta all’informale.

Il “cristallo” (ed i “paesaggi” di Silvana ne possiedono la trasparente purezza) ruba porzioni di cielo, ritagli azzurri di mare, pietre antiche che hanno udito nei secoli le voci della Storia…
Il cristallo comunque non resiste alla violenza degli eventi e si frantuma in un attimo, moltiplicandosi in  schegge, frammenti-riflesso d’una natura affacciata in immagine sulla loro superficie.
C’è nella pittura di Silvana – considerata nella sua totalità – un dialettico procedere dal figurativo all’astratto, senza contraddizione alcuna, come accade ad un fiume che dalla sorgente lontana giunge infine ad unirsi al mare.

Ad avviarla all’Arte, è stato un maestro d’eccezione – il nonno paterno Juan Chiozza – prossimo nel modo di dipingere, più che ai pittori impressionisti ai romantici inglesi (a Turner e a Constable, in particolare), a certe inquietanti marine fatte di colori gridati, affollate di barche, schiacciate dal peso delle nuvole.
Ma, a differenza del nonno, sin dagli esordi, Silvana stempera la violenza del colore nel “respiro” dei toni che si confrontano sulla superficie del supporto, senza mai stridere tra loro, equilibrati piuttosto nella geometria di forme che trasfigurano l’insieme in ritagli senza tempo dell’universale.
Tutto è fermo nei “paesaggi” della Chiozza, senza l’invadenza del sole che impone luci ed ombre… l’incalzare dell’ora che trasfigura le cose e le rende diverse a seconda del variare della luce.
Le forme geometriche – impalcatura immutabile del “reale”, come avverte Platone nel “Filebo” – diventano così “protagoniste”: si tratti di paesi arroccati in cima alle colline, di bracci di mare, di antichi monumenti intuiti nell’essenzialità della loro architettura.

…La rupe di Calcata, circolare nella struttura, con le torri e gli edifici medioevali “incastonati” in cima, essenziali e solidi insieme, sotto un cielo di limpido azzurro… massa compatta come l’ “idea di sereno” ritagliata dall’iperuranio di Platone.

…Gli scorci di Capri con “Villa Malaparte” adagiata, simile ad un segno chiaro lontano sopra la scogliera, in un gioco di forme che rimandano ai frammenti di vetri colorati nei quali si spezza l’unità della figura dentro il cilindro di luce di un caleidoscopio…

… “Calanchi”… Lo spazio figurativo si riduce ad un campo di rapporti equilibrati (come accade nei “quadrati di Mondrian”), con file di minuscoli cipressi (simili alle “cesure nere” del pittore olandese) a separare tra loro le diverse sezioni di colore: verde-grigio ed ocra, con l’ocra qualitativamente più forte che si bilancia (in un’estensione più ampia) col qualitativamente più debole del verde.

… “Centrone”… un suggestivo paesaggio risolto anch’esso nell’essenzialità della forme e del colore: la lunga riga della pineta a contornare idealmente il sublime infinito dell’orizzonte; l’imperturbabile trasparenza del cielo, in uno spazio dove assente è l’uomo e ad indicarne la presenza è solo una casa sul fondo, confusa tonale nell’insieme dentro l’assordante silenzio che l’avvolge.

… “Via Giulia: tonale anch’essa (d’un tonalismo di chiara impronta romana), vuota di umana presenza… sapientemente costruita seconda i canoni della prospettiva rinascimentale… col punto di fuga che s’intravede lontano, simile ad un cerchio di luce oltre la lingua d’ombra della strada.

… Nel quadro della Chiozza, i palazzi che su Via Giulia si affacciano, paiono confermare quanto Worringer afferma in “Astrazione ed empatia”: “Non esiste opera d’arte figurativa che sia priva di elementi astratti…”. Una verità – questa – che si è manifestata concreta in ogni tempo della “Storia”, inducendo Vittorio Sgarbi ad affermare che “tutta l’arte è contemporanea”: da Giotto a Masaccio… da Piero della Francesca a Cézanne… da Picasso a “Valori plastici”, sempre l’Arte ha fatto della essenzialità, del peso e dell’estensione (ovvero delle forme della geometria solida – tetraedro, ottaedro, icosaedro e cubo – ) l’elemento cardine dell’opera.

Figurativi – quindi – i primi quadri della Chiozza, senza sfarfallio di colori e “costruiti” degli elementi essenziali della geometria. Una lettura che rimanda a quanto proposto dai teorici della “Pura visibilità”, per i quali il quadro è “altro” rispetto al contenuto che esprime: rapporto piuttosto di volumi di rilievi e di colori, posti uno accanto all’altro, a supporto dell’altro, in un gioco astratto di armonie.

A poco a poco, la forma pare dissolversi… le cesure tra le diverse campiture di colore scompaiono, gli argini si assottigliano e la materia esce dai confini delle linee di contorno. Lo indicano con assoluta chiarezza quadri come “L a Val d’Orcia” e “Colline piacentine”, nei quali la materia si traduce in impalbabile sostrato della luce.

I tanti elementi del paesaggio si dilatano, comportandosi come un fiume in piena che travolge gli argini e copre d’acqua tutta la campagna. La materia – nell’ultima produzione di Silvana – trascende la propria finitezza, viva d’una forza che le impone di liberarsi della forma e la solleva, come per un ritorno all’ “Uno” di cui parla Plotino nelle “Enneadi”.
Nell’ultimo Mondrian le linee nere si spezzano e, con la leggerezza di note musicali, i colori si muovono liberi verso spazi più ampi… Lo sconfinato territorio di “On the road” di Kerouac si sostituisce all’ angusta porzione del quadrato. Pollock è la logica conseguenza dalla quale l’arte è attesa dopo la stagione del neoplasticismo: una esaltazione della libertà connessa alla materia; il trionfo del “poiein”, del fare in luogo della lucida ideazione.

Silvana Chiozza, sulla scia degli antichi alchimisti, vede la materia andare verso quella che è stata un tempo la sua origine, nobilitata in ogni grumo, autonoma, libera dalla finitezza dell’effimera forma delle cose e consapevole ora di essere una scintilla del Divino.

Caleidoscopio

Un filo tenace di coerenza lega tra loro i periodi cronologicamente diversi nei quali si è espressa l’arte di Silvana Chiozza: dall’esperienza originaria che ha visto la pittrice risolvere l’oggettività della visione nell’equivalente essenziale delle sue forme geometriche, al successivo approdo alle soglie dell’informe, fino alla produzione più recente, dove l’unità della figura pare spezzarsi in minuti frammenti che richiamano le tessere non ancora composte di un mosaico.

Già le opere di contenuto informale della Chiozza lasciavano intuire un palpitare di vita sotto le macchie di colore: un lievitare della materia in incerti profili o in schegge di luce condensata, come accade di vedere sul palcoscenico magico di un caleidoscopio o addosso a porzioni di muro recuperate all’aria da angusti spazi sotterranei… ampie stesure d’intonaco colorato che si dilatavano a coprire l’intera superficie del dipinto. Il velo che nasconde quanto la mano dell’uomo ha realizzato pure in tempi lontani sotto quella superficie d’intonaco e di muffa, si squarcia all’improvviso al calore della sensibilità della pittrice, fornendo, a chi guarda, la visione di suggestivi paesaggi risuscitati dall’archeologia della memoria. 

I luoghi di storia individuati dalla pittura di Silvana, suggeriscono immagini colte dall’alto, come da una terrazza invisibile del cielo, schiacciati gli edifici, uniformi nel loro mostrarsi e per altezza, in forza della prospettiva nella quale Silvana ha inteso di calarli.

… Ecco “La Salita del Grillo”, con il seicentesco palazzo sullo sfondo e le torri antiche, semplificati nella forma… risolti – nella loro essenzialità – a fuggenti impressioni d’un unico colore

… “L’Isola Tiberina”… il nastro cilestrino del fiume e il ponte Cestio che lo attraversa fino alla Chiesa di San Bartolomeo, il ponte Fabrizio… ed il dilatarsi di verde oltre il Lungotevere de’ Cenci, dove … Roma ricomincia e si smorza l’incanto suscitato dalla visione di quell’isola felice.

… “Il Circo Massimo”, visto anch’esso dalla pittrice da una posizione inconsueta nella simultaneità del suo insieme, con le pietre, gli alberi e il selciato che paiono d’una inconsistente materia, come ombre chiare stampate sulla terra e pronte a svanire all’istante, dopo aver illuso d’una loro tangibile presenza.

Ancora una volta, Silvana Chiozza ha avuto il potere di stupirci in forza dell’originalità del suo operare, della capacità che le appartiene di cogliere l’anima delle cose e di restituirla al fruitore nell’incanto sublime di un’autentica poesia.

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